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“DAI TEST GENOMICI AI FARMACI AGNOSTICI, LE NUOVE FRONTIERE DELL’ONCOLOGIA DI PRECISIONE”

Le conferenze stampa

L’oncologia di precisione determina una vera e propria rivoluzione del modo di “pensare” il cancro: l’obiettivo è individuare le singolarità genetiche dei diversi tipi di tumore, per impostare la cura in rapporto alle esigenze di ogni paziente. I test genomici e i farmaci agnostici sono le nuove frontiere dell’oncologia di precisione.

I test genomici, in alcune tipologie di pazienti pari a circa il 10-20% del totale, consentono di prevedere il rischio di recidiva e, quindi, di escludere la chemioterapia in aggiunta all’ormonoterapia, evitando inutili tossicità. Ma, ad oggi, solo la Lombardia e la Provincia Autonoma di Bolzano ne hanno approvato la rimborsabilità, pur trattandosi di una tematica dibattuta a livello regionale, come dimostrano le mozioni a favore della gratuità presentate nei Consigli regionali di Toscana, Sardegna, Emilia-Romagna e Lazio. Per questo l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) promuove un tour di incontri virtuali in 8 Regioni, per sensibilizzare oncologi e Istituzioni locali su questa pratica. Il tour è presentato oggi in una conferenza stampa virtuale al XXII Congresso Nazionale della Società scientifica, in corso on line fino all’1 novembre.   

“Precisione è la parola chiave in oncologia – afferma Saverio Cinieri, Presidente eletto AIOM e Direttore Oncologia Medica e Breast Unit dell’Ospedale ‘Perrino’ di Brindisi -. Oggi abbiamo l’opportunità di individuare la terapia più adeguata per ogni paziente, sfruttando specifiche alterazioni dei geni o proteine riscontrate nel singolo tumore, che diventano il bersaglio di una terapia individualizzata. Perché il paziente possa ricevere un trattamento di precisione, sono necessarie una diagnosi accurata e una definizione del profilo molecolare della malattia con test specifici. In questo senso, i test genomici sono in grado di supportare l’oncologo nella personalizzazione delle terapie in alcune tipologie di pazienti con carcinoma mammario in fase iniziale. I test genomici valutano gruppi di geni espressi in uno specifico tessuto, studiandone le funzioni e le modalità con cui interagiscono tra loro. Forniscono, cioè, il profilo molecolare personalizzato di un tumore. La genomica applicata al cancro della mammella permette di caratterizzare ancor meglio il tessuto tumorale e di prevedere la probabilità di recidiva dopo l’intervento chirurgico e la risposta alle terapie”. “La forte diminuzione dell’utilizzo improprio della chemioterapia – continua il prof. Cinieri - può tradursi, da un lato, in un beneficio clinico per le pazienti che non vengono più esposte a un eccesso di trattamento e al relativo rischio di tossicità immediate e tardive, dall’altro in un impatto favorevole sulla spesa sanitaria, che rappresenta un elemento fondamentale, con cui anche i clinici devono confrontarsi”. “Inoltre, in questa fase di emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, risparmiare alle pazienti la chemioterapia significa anche evitare loro viaggi da casa all’ospedale per le cure - sottolinea Giordano Beretta, Presidente nazionale AIOM -. L’obiettivo del Tour promosso da AIOM, che partirà da dicembre, è promuovere cultura sul ruolo dei test genomici nella gestione del carcinoma mammario fra gli oncologi medici per far conoscere maggiormente ed estendere questa pratica in tutte le Regioni. Il modello adottato in Lombardia rappresenta un esempio da seguire”.

“Negli ultimi anni, sono stati compiuti importanti progressi nel trattamento di questa neoplasia – spiega Lucia Del Mastro, membro Direttivo Nazionale AIOM e Responsabile Breast Unit dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova -. Nel 2020, in Italia, si stima un calo della mortalità del 6% rispetto al 2015 e l’87% delle pazienti è vivo a 5 anni dalla diagnosi. Il merito è da ricondurre a terapie sempre più efficaci e ai programmi di screening. Va però considerato che la recidiva del tumore al seno può verificarsi fino ad oltre 20 anni dalla diagnosi iniziale, soprattutto nelle donne con carcinoma positivo ai recettori ormonali. Il trattamento chemioterapico adiuvante, eseguito cioè dopo la chirurgia, riduce il rischio di recidiva, e la decisione circa l’opportunità o meno di effettuarlo è tradizionalmente basata sulle caratteristiche della paziente e del tumore. Mentre per i carcinomi mammari che esprimono la proteina HER2 e in quelli triplo-negativi, che non presentano nessuno dei recettori (estrogeni, progesterone, HER2) utilizzati come bersaglio nelle terapie disponibili, la chemioterapia adiuvante è spesso indispensabile e il beneficio è evidente, nei tumori che esprimono i recettori estrogenici ma non la proteina HER2 (ER+/HER2-), invece, il vantaggio dell’aggiunta della chemioterapia adiuvante alla terapia ormonale è in alcuni casi controverso”. “La maggior parte delle donne con carcinoma della mammella – continua la prof.ssa Del Mastro – presenta una malattia in fase iniziale, senza coinvolgimento o minimo coinvolgimento dei linfonodi ascellari, che esprime proprio i recettori estrogenici ma non la proteina HER2. In questi casi, dopo la chirurgia, la terapia prevede il trattamento ormonale, che può essere associato a chemioterapia nei casi ritenuti a maggior rischio di recidiva. I test genomici sono uno strumento estremamente importante per decidere in quali di queste pazienti è necessario aggiungere la chemioterapia”. 

“​Secondo le nostre stime, la popolazione da sottoporre ai test genomici in Lombardia è di circa 1.500 casi all’anno ​con malattia luminale precoce che sarebbero candidati a chemio-ormonoterapia adiuvante, un’ipotesi che consente al Servizio Sanitario Regionale di risparmiare la somministrazione di oltre 1.000 chemioterapie all’anno, pari a circa quattro trattamenti evitati ogni cinque test genomici eseguiti – sottolinea Carlo Tondini, Direttore Oncologia Medica Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo -. Nel 2018, quattro aziende ospedaliere lombarde (ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ASST Ospedali Civili di Brescia, Ospedale Fatebenefratelli di Milano e ASST Lariana di Como) hanno condotto uno studio prospettico, BONDX, su 400 pazienti con carcinoma invasivo della mammella ER+/HER2-, in stadio iniziale ​e presentazione clinica a rischio intermedio. I​n queste pazienti, il clinico ha proposto il trattamento combinato chemio-endocrino a una paziente su quattro e solo ormonoterapia a tre donne su quattro. Lo studio ha dimostrato che nel 50% dei casi a cui era stata prescritta inizialmente la chemioterapia secondo la pratica clinica tradizionale, il Recurrence Score ottenuto con il test genomico è risultato basso, permettendo perciò di proporre solo l’ormonoterapia, con un cambiamento della scelta di cura. I dati dello studio BONDX confermano che l’adozione dei test genomici comporta evidenti benefici clinici, migliora la qualità di vita delle pazienti e permette un risparmio economico per il sistema sanitario”. ​

“I test genomici sono raccomandati dalle più importanti linee guida internazionali come quelle della Società Europea di Oncologia Medica (ESMO), della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO) e della St. Gallen International Breast Cancer Conference – conclude Saverio Cinieri -. In Paesi europei, quali Gran Bretagna, Germania, Irlanda, Spagna, Grecia e Francia, il loro impiego è ampiamente diffuso. Inoltre, l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari (AGENAS), a maggio 2019, ha completato un’analisi dei dati della letteratura e pubblicato un report preliminare con i risultati, rilevando che l’uso dei test genomici nelle pazienti con tumore alla mammella in stadio precoce consente di identificare le pazienti che potrebbero evitare la chemioterapia e che il mancato rimborso genera un problema di accessibilità. La Lombardia ha deciso di fornire l’esame da luglio 2019 gratuitamente anche a chi viene da altre Regioni. In quest’ultimo caso, serve una preventiva autorizzazione all’esecuzione del test da parte delle ASL di residenza, a cui segue la richiesta di rimborso della Regione Lombardia. È evidente il rischio di fenomeni di migrazione sanitaria verso il Nord. Auspichiamo, quindi, che i test siano quanto prima rimborsabili su tutto il territorio”. 

Anche i farmaci agnostici sono una parte fondamentale dell’oncologia di precisione. Il 78% degli oncologi ritiene che possano costituire il fulcro della moderna lotta contro il cancro. Sono molecole “jolly”, perché colpiscono in maniera selettiva alcune mutazioni genetiche, indipendentemente dall’organo interessato dalla malattia. L’accessibilità ai test agnostici, indispensabili per adottare la giusta decisione sulla terapia, è buona, infatti la maggioranza degli specialisti ha a disposizione un laboratorio di biologia molecolare o anatomia patologica per l’esecuzione degli esami (46,4% nell’ospedale in cui lavora e 42,2% in un centro di riferimento limitrofo). Tutti gli oncologi ritengono che sia giunto il momento di applicare nella pratica clinica i Molecular Tumor Board (per il 47,6% in tutte le patologie, per il 51,8% in alcune patologie selezionate). Ma solo il 13% può contare sulla presenza di questi team multidisciplinari nella propria struttura, indispensabili per supportare il clinico nell’interpretazione dei test molecolari e per scegliere la terapia migliore. Sono i dati principali del sondaggio condotto da AIOM relativo al livello di conoscenza sui test genomici, parte di una campagna nazionale promossa dalla società scientifica con il sostegno non condizionato di Bayer. I risultati del sondaggio sono presentati oggi al XXII Congresso Nazionale. 

“Il modello istologico, finora, ha governato la ricerca clinica in oncologia, le decisioni regolatorie e la pratica clinica – spiega il Presidente AIOM Giordano Beretta-. Nel modello istologico, il punto di partenza è rappresentato dalla localizzazione del tumore, a cui seguono l’esame istologico, la scelta del farmaco e l’indicazione terapeutica. La recente approvazione di molecole con indicazione agnostica sta portando all’affermazione di un nuovo modello, definito mutazionale. Si tratta di una vera e propria rivoluzione scientifica e culturale, destinata a condurci lontano da un’oncologia pensata attraverso gli organi colpiti o l’istologia.  Il punto chiave del nuovo processo è rappresentato dalla profilazione genomica, cioè dall’individuazione delle mutazioni che giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo delle neoplasie, definite ‘driver’. Da qui deriva la scelta del farmaco e l’indicazione terapeutica, indipendentemente dalla sede del tumore”. 

“È ottimo il livello di conoscenza degli oncologi sulle nuove armi. Il 95% conosce la definizione di indicazione agnostica, vale a dire che ‘il farmaco è indicato a prescindere dall’istotipo tumorale e sulla base dell’individuazione di uno specifico biomarcatore’ - afferma Antonio Russo, Membro Direttivo Nazionale AIOM e Ordinario di Oncologia Medica, DICHIRONS - Università degli Studi di Palermo -. Il 59,6% degli oncologi ha usato un test agnostico nella pratica clinica, in particolare per i tumori dell’apparato gastroenterico (58,8%) e del polmone (57,8%). Seguono sarcomi (20,6%), tumori urologici (11,8%), ginecologici (18,6%), mammari (16,7%) e del distretto cervico-facciale (5,9%). Oltre 4 specialisti su 5 (82,5%) ritengono che il principale vantaggio di un farmaco agnostico sia la specifica associazione con una particolare mutazione molecolare e le tecniche di sequenziamento genico di nuova generazione (Next Generation Sequencing, NGS) sono considerate di gran lunga le più adatte per l’esecuzione di un test agnostico (88,6%)”.

“Il ruolo del patologo è fondamentale nell’inquadramento delle patologie oncologiche - sottolinea Antonio Marchetti, ordinario di anatomia patologica e Direttore del Centro di Medicina Molecolare Predittiva dell’Università di Chieti -, dalla definizione prognostica (tumore benigno o maligno), alla caratterizzazione immunofenotipica con anticorpi specifici per diversi antigeni che caratterizzano alcune forme tumorali permettendo di inquadrarle perfettamente, fino alla caratterizzazione molecolare sia con metodiche in situ (direttamente su sezioni di tessuto) che non in situ su acidi nucleici estratti dalle cellule tumorali. Questa caratterizzazione è cruciale nella medicina di precisione. Si individua una alterazione molecolare ‘driver’, indispensabile per la crescita neoplastica, e la si tratta con farmaci specifici che portano la cellula tumorale, portatrice dell’alterazione, a morire rapidamente. In prospettiva, è importante promuovere la diffusione delle tecniche di sequenziamento massivo parallelo in centri di eccellenza diagnostica, che permettano la centralizzazione dei test, analisi molecolari sempre più complete e accurate con una riduzione dei costi”.

AIOM, SIAPEC-IAP (Società Italiana di Anatomia Patologica e di Citologia Diagnostica), SIBioC (Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica) e SIF (Società Italiana di Farmacologia) hanno stilato le “Raccomandazioni 2020 sui Farmaci Agnostici”.

“L’Italia è al vertice a livello europeo nell’oncologia di precisione, proprio grazie alla rete nazionale per i test bio-molecolari istituita da AIOM e SIAPEC-IAP – spiega Anna Sapino, Presidente SIAPEC-IAP -. In alcuni sottotipi tumorali sono state individuate peculiari alterazioni genetico-molecolari che rappresentano non solo la causa della neoplasia, ma anche i punti deboli che possono essere attaccati con specifiche armi terapeutiche. Queste alterazioni, chiamate biomarcatori o marcatori biologici, permettono di indirizzare verso i trattamenti ‘personalizzati’. Gli studi molecolari, soprattutto sui tumori avanzati, hanno tuttavia dimostrato la presenza di alterazioni molecolari ‘inaspettate’ per il tipo di tumore in esame. Queste ‘alterazioni’ possono essere bersaglio di molecole agnostiche, quindi di farmaci non disegnati a priori per una determinata neoplasia, ma che potrebbero essere le molecole ‘giuste’ per quel caratteristico profilo molecolare. Tra i vari biomarcatori, il deficit di riparazione (dMMR) e l’alta instabilità dei microsatelliti (MSI-H) sembrano essere in grado di identificare i pazienti che rispondono all’immunoterapia, indipendentemente dalla sede e dal tipo di tumore”. “Dall’altro lato – continua il Prof. Russo -, le fusioni di NTRK costituiscono uno degli esempi più paradigmatici di alterazione genetica, ‘driver’ e potenziale bersaglio farmacologico, trasversale a multiple istologie tumorali. L’inibizione di NTRK si è dimostrata altamente efficace, portando a risposte durature, che sono state osservate indipendentemente dall’età del paziente e dal tessuto tumorale, e bloccando l’azione delle proteine TRK, che favoriscono la diffusione e la crescita della neoplasia. L’identificazione dei tumori portatori di questi riarrangiamenti genici è fondamentale per la selezione dei pazienti che possono beneficiare del trattamento con farmaci antitumorali, appartenenti alla famiglia degli inibitori della tirosin-chinasi. All’orizzonte si stanno già profilando altri marcatori agnostici, ad esempio il cosiddetto carico mutazionale del tumore (tumor mutational burden, TMB), che potrebbe aiutare a predire la risposta all’immunoterapia. Secondo gli oncologi, l’elenco è destinato ad ampliarsi: circa 2 terzi infatti ritengono che BRCA, KRAS, BRAF e MET siano alterazioni candidate ad allungare la lista dei test agnostici”.

“L’accesso dei pazienti alle terapie agnostiche inizia con l’esecuzione di un test di profilazione genomica, prosegue con l’interpretazione dei dati per arrivare alla scelta terapeutica – concludono Giordano Beretta e Anna Sapino -. Un elemento centrale di questo modello organizzativo è rappresentato dai Molecular Tumor Board (MTB), team multidisciplinari (formati da oncologi, genetisti, patologi molecolari, radiologi, bioinformatici e altre figure professionali), disegnati per colmare l’enorme disparità tra conoscenza clinica e potenzialità della diagnostica molecolare nella pratica oncologica. Il compito principale del MTB è l’interpretazione del profilo genomico di una neoplasia e la raccomandazione della migliore terapia. Il MTB ha un approccio agnostico rispetto all’origine anatomica dei vari tipi tumorali e svolge un ruolo complementare a quello degli attuali Gruppi Oncologici Multidisciplinari (GOM) e Disease Management Teams (DMT), centrati invece su specifiche patologie. In Italia sono operativi solo una decina di MTB. È importante che vengano implementati e inclusi all’interno delle Reti oncologiche regionali, per consentire il completo sviluppo dell’oncologia di precisione”.